Società Italiana di Storia Militare
ARCHIVIO FOTOGRAFICO
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Dien
Bien Phu
Si ringrazia il Socio Elio Susani per le fotografie
e il testo di questa pagina
A Dien Bien Phu. Sensazioni sul campo di battaglia.
Dien Bien Phu è spesso ammantata da una coltre grigia. Gli autocarri che rombano appena sotto le vecchie postazioni francesi sollevano nuvole giallastre che sconfinano in un cielo senza nubi, perennemente bianco di calura. In giro non c'è quasi nessuno. E' un primo pomeriggio della tarda estate del 2010. Appena varchiamo la soglia del memoriale militare sotto la collina "Eliane" si avvertono i profumi speziati degli incensi. Ci sono fasci di bastoncini colorati accesi perennemente sopra le tombe dei soldati vietnamiti. Le linee ondulate e sottili dei loro fumi pare ti sfiorino e ti seguano ad ogni passo. Fragranza di fiori di campo. Sentore di erba che si perde. Poche persone del luogo vanno e vengono. Silenziosamente. Andiamo lassù, verso le trincee calcificate e fatte monumento. Il campo di battaglia sulla collina è stato scolpito nella terra dura, argillosa. Nella stagione impietosa delle piogge è una terra che si scioglie e diventa sorta di colla rossa, che ha l'odore acre e dolciastro del sangue. Si attacca alle scarpe ed è come voglia risucchiarti sottoterra.
Mi guardo intorno, come ancora dovessi accorgermi degli scatti metallici dei MAS e degli SKS. Ma ci sono solo pochi relitti di carri corazzati irti ed arrugginiti. Icone impietose, spoglie; obelischi di sconfitta. In cima, attorno al grande cratere dove gli ultimi esplosivi vennero fatti saltare, brulicano i bambini di una scuola in divisa azzurra e fazzoletto rosso al collo. I loro insegnanti indossano magliette di cotone con la faccia di Jimi Hendrix e jeans della Levi's. Charlie, la mia guida, porta in testa un cappello da baseball e non si toglie mai i suoi ray-ban. Ma ha rigorosamente la camicia bianca ed i calzoni neri.
In realtà non si chiama Charlie. Ma così lo chiamo io perchè non ho voglia di menzionare il suo triplice e difficile nome. Lui lascia fare. Mi sta sempre a quattro passi. Lascia che io gironzoli ovunque, ma non mi perde. "Non ho visto una cosa simile a commemorare i vostri caduti nella guerra contro gli americani..." gli dico sfiorando con la mano il cingolo rotto del M- 24 fatto statua. Charlie sorride. "... con gli americani è stato un incidente di percorso" dice "il nostro popolo non ha mai dubitato di poter vincere alla lunga..." e continua " ...ma è stata contro i francesi la nostra grande vittoria."
Poi va a ruota libera, e asserisce che gli americani non hanno lasciato nulla di importante se non morte e distruzione, bordelli - droga e coca cola. Invece dai francesi hanno ereditato, dice, l'amore per la terra, il pane bianco, l'architettura, la durezza amministrativa. Il senso di una nazione. ...La vera vittoria che celebriamo è quella contro i francesi, mi ripete. Poi mi scarrozzano per strade secondarie, e ad un certo punto mi fanno proseguire a piedi su un sentiero a margine di cantieri che stanno sollevando case nuove. Non mi accorgo nemmeno che Charlie si è fermato dinnanzi a ciò che sembra un orticello. Apre un cancelletto di ferro e mi fa passare. Un muretto basso delimita un piccolo quadrato di terra battuta. In mezzo la stele alta come un uomo che commemora i caduti francesi della battaglia. "...viene mantenuto da noi", afferma Charlie, "...qui non viene più quasi nessuno. Nemmeno i francesi."
In lontananza si delinea appena il profilo ceruleo delle colline da dove giunsero i colpi micidiali dell'ultima battaglia. Sembrano assai lontane. Qui ci sono adesso attorno a me donne e ragazzi che fanno a gara a sovraccaricare ciclomotori con le più improbabili mercanzie. Mi sorridono e non perdono l'equilibrio. Se ne vanno rumorosamente lasciando ancora fumo e polvere. Paiono appartenere ad un altro mondo. Guardano altrove. Meglio così. Mentre rientriamo in città per uno squisito tè freddo con mia moglie e con Charlie ci soffermiamo in un bar disadorno che sembra risalire agli anni '50. Nei posacenere di terracotta non ci sono più cicche di Gauloises. Mi sovviene il suggerimento di Mario Rigoni Stern "...I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia : rimangono limpidi ed il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia."